Indovinelli a rima 2

04.07.2010 12:57

Cinque fratelli siam, ch'alla sorella
Facciam serraglio intorno,
Ch'uscendo fuora all'apparir del giorno,
Non men d'ogni altra sposa è vaga e bella.

I balconi della rosa

 

Non é maggior d'un pome il capo mio:
Ho ben alte le spalle:
Son le stiene una valle:
Ho d'un sol pezzo l'uno e l'altro fianco;
E nè gambe nè braccia non ho io:
Vo co' piè altrui, ond'io mai non mi stanco.

La sella.

Non son palazzo, nè casa, nè torre,
E nè capanna, nè manco osteria;
Vendo mangiar e ber per cortesia
A più d'un passeggier che 'l mondo scorre.

La gabbia ritrosa.

Quel ch'io son ognun sa,
E pochi hanno di me pur conoscenza.
Chiarite or voi come tal cosa sta.

La maschera.

Sappiatemi un po' dir, care brigate,
Qual son le genti più dell'altre ingrate.

Le monache.

Ditemi, per mia fè,
Donne, qual è quel re
Che non porta corona in giovinezza,
Ma la porta in vecchiezza.

Il papavero.

Mentre stillo dagli occhi il pianto amaro
C'è chi ne fa conserva e lo raccoglie.
Cotanto il male altrui altrui è caro.

Il ranniere.

Ho capo e coda com'una cometa,
E son del suo colore,
Ma non augurio morte di signore,
Nè son più trista o 'nfausta che lieta.

La spazzola.

Ho capo e corpo e coda com'un pesce,
Ma nel corpo ho un occhio riturato;
E cieco il fatto mio far mi riesce,
E non son buono a nulla illuminato.

Il martello.

Non sono uccello, e volo come lui;
E uccello in qualche parte un tratto fui.

La saetta dell'arco.

Ho la vita dal cielo;
Il ben comune a tutti in seno io celo,
E ho virtù di far fuoco col gielo.

Il mantice.

In quell'ora ch'io nacqui
La casa appunto mi si fabbricò,
Sotto cui morta giacqui
Quand'ella rovinò:
Poi, messa nella fossa,
Lacere mi fur l'ossa - a farne unguento
Per unger chi di fuori e chi di drento.

La noce.

Già seppellito il padre,
E la misera madre
Abbattuta sul suolo,
Ho vita dal figliuolo.

Il villano ricoglitore.

Guai a me, s'io avessi un capo solo,
Perchè, battendol qua e là pe' sassi,
Sarebbe tutto d'uno e doppio il duolo.

Il pestello.

D'umor diverso e varia condizione
Conosco due sorelle
(Streghe le credo, ch'or son brutte or belle)
Star sempre a un balcone,
Come duo puttanelle.

Le stagnate.

La vita mia è non esser contenta.

La speranza.

Nutriscomi di luce, e amo il bujo.

Lo spegnitoio.

Ozioso sto bocconi,
Operante, per aria m'arrovescio.

Il bicchiere.

Non so s'io debbo dirmi vetturale,
Perch'io scarico sempre,
E non carico mai;
E tutto quel ch'io scarico va male.

Lo starnuto.

Ditemi qual è l'olio che non unge,
E qual è quella spina che non punge.

L'olio di sapone e l'uva spina.

Qual'è quel fior che fresco è senza odore.
E secco di gratissimo sapore?

Il fior della farina.

Qual è la carnesecca senza sale,
E che sol guasta e verminata vale?

Il vaglio.

Qual animale (o sia paura o ira)
È che dalle carezze si ritira,
Ma non morde, non graffia, o cozza, o tira?

La chiocciola.

Siam due sorelle
Dentro a due celle,
E come monacelle
Vestite a bigio, portiam sulla testa
Segno che il nostro interno manifesta.

Le stagnate.

Più peso a quel che manco peso porta.

Il sole.

Tirata pel ciuffetto spargo a' venti
Alte le strida dal doler de' denti.

La campana.

Quai son gli uomin che vivon d'odore?

I profumieri.

Ahimè ch'io son pur nuda,
E la testa si mi suda
Pel gran peso ch'io sopporto,
Che di frasche la cingo e la conforto.

La colonna.

Peregrino ch'io seguo ognor per via,
Se ancor non ti raggiungo, mi perdona,
Perchè, quantunque il mio natal mi dia
Quattro aver gambe e braccia,
Bisogno ho d'accattarmi la persona
O vuoi da' viandanti o da' vicini,
O ch'inulil mi giaccia.
E ben ch'or tu cammini,
Spero anche tu prestarmela talvolta:
Suol prestarmela ognun per una volta.

La bara.

 

Chiaro io conosco, e intendo, e 'l dico forte,
Molte esser donne in util altrui ingrate:
Tal io, che non son monaca nè frate,
Corro, e si gode altrui di mia rea sorte.

L'arrosto in su la gratella.

 

Cosa a creder difficile ma vera,
Che non per ingiustizia o villanìa,
Anzi per cortesìa,
Rendo il contrario altrui
Di quel ch'ei porge a me:
Ed ei divien per me quel ch'ei non era;
Ma non già io per lui.
Apponetevi voi chi io son, chi egli è.

Il laveggia o caldanuzzo da scaldar le mani e' piè.

 

Benchè 'l nemico mio di me più forte
Sempre mai mi contenda,
Ognor mi faccia guerra,
Non è mai ch'io m'arrenda,
Nè ch'ei m'abbatta a terra,
Nè ch'io paventi morte.
E che dirà ch'al suo cospetto io tremo?
Non fuggo già, non temo no, non temo.

La banderuola.


 

Sentite; ma chi'l sa se 'l tenga e taccia.
Dirà la gente ch'io abbia del granchio,
Del gamber, che so io, della formica.
Quattro intorno al bellico ho gambe e braccia,
E pur sto fermo, e giammai non isgranchio:
Ma per troppa fatica,
Colpa di forza ch'altri usanmi addosso,
Ne portai qualche volta infranto ogni osso.

La ciscranna vecchia.

 

Non so s'io debbo chiamarmi soldato,
Perch'io non cingo al fianco
Spada nè stocco, nè porto elmo in testa,
Quantunque io vado giorno e notte armato
Per l'orrida foresta.
Ma i' non so già se questa
Cosa direte che non quadri bene,
Ch'uso portar lo scudo in su le rene.

La testuggine.