Indovinelli a rima 1

21.04.2010 22:45

Quand'io più son innocente
Impiccata sto pendente;
E m'onora allor la gente
Che mi vede d'ira ardente,
E nel far male altrui mi tien valente.

La spada.


 

Mi nutrisco per le rene:
Vo vestita di catene:
Verso il sangue e non ho vene:
Vivo sotterra tra ferite e pene;
E spenta, all'aria torno, e quivi ho bene.

La botte.

Dormo 'l dì, veglio la sera,
Non ho occhi e lume veggo,
Ciondoloni in aria seggo,
Olio beo e mangio cera.

La lanterna.

Senza capo io ho cappello,
Senza spalle io ho mantello,
Senza mano ugna e nodello:
Ho molte dita e non vi porto anello.

Il cappellinajo.


 

Sto col capo in terra fitto,
Cieco sono e vo diritto,
Sopra terra son sepolto,
Ho gli orecchi e nulla ascolto,
E 'vecchiando mi fo sempre più bello.

Il vomero

Guarda se 'l mio nemico è ben feroce!
Mi carica di sassi in una foce,
Mi perquote, mi sgraffia, attorce e quoce:
Alfin mi pone in croce,
E mi trae le budella l'empio atroce,
Mi taglia in pezzi, e 'n mille modi nuoce.

Il lino filato.


 

Senza gambe ho ne' fianchi quattro piedi,
E sol mi muovo quand'altri cammina;
Non sudo più all'erta che alla china,
E porto addosso il ciel, come tu vedi;
Son cieco e mi fa scorta un gran bastone,
E vive ingojo e recio le persone.

Il cocchio.

Mira s'io nacqui al mondo sventurato!
Senz'ossa e polpe io ho la pelle sola,
E per idropisìa son tutto enfiato,
Nè si scerne in me capo o spalle o gola:
Vo senza piedi; e con la bocca nato,
Non mangio, nè di me s'ode parola:
Di farmi offesa ogni persona è vaga,
Ma non posso morir se non di piaga.

Il pallone.


 

Di patria son che ogni altra patria onora,
E di giustizia son ministro retto;
E, benché saggio e grave, ho gran diletto
Di giocolar sul canapo a ogni ora,
Sopra 'l qual senza piè corro e cammino,
Ora al ciel m'alzo, a terra ora m'inchino.

Il romano.


 

Di natura magrissima e sottile,
Lacero e mordo chi diede altrui vita,
E l'apro e sbrano in pezzi con l'aita
Di due infermi, un superbo e un umìle,
E camminando fuggo le vie torte:
Vivo di ferro, e dal legno ho la morte.

La sega.

Mangio per man d'altrui com'un malato;
E benchè caldo di stomaco io sia,
Vomito quel ch'io mangio tuttavìa,
Perchè 'l ventre ch'io ho non è forato.

Il forno.


 

Di chi mi dètte già mille ferite,
Quasi ch'io me ne glorii, il nome porto.
Senza altrui nuocer, sono offesa a torto,
Sin ch'io verso le viscere mie trite.

La palla lesina.

Ho più gambe e non fui mai visto andare,
E con più bocche inghiotto tuttavia;
Nè mai si sazia l'ingordigia mia,
Ma ciò ch'io 'ngojo digerisco in mare.
Son gobbo e reggo ogni gran peso addosso,
E 'l porto or qua or la senz'esser mosso.

Il ponte di un fiume.

Bench'abbia piè, col naso sol mi muovo,
E sempre scorro una medesma via:
Guardate stravaganza ch'è la mia!
E 'n un medesmo luogo mi ritrovo.

L'arcolajo.

Cortesia non più udita e fatto pio!
Dono quel ch'io non ho;
E mentre ch'io lo fo,
Pur vi metto del mio:
Ma quel ch'esce di me,
Altri lo lascia ir mal, noi tòe per sè.

La ruota de' coltelli.

Cosa non è di me più fatta a caso.
Non ho fronte, nè occhi e non ho mento:
Per bocca arrovesciato porto il naso,
E con gli orecchi strido, ma non sento:
Il cul com'una monna porto raso:
Sana di fuor, ritropica son drento.

Il secchione.


 

Ognun mi dice ch'a speranza io viva;
Ma io non so perchè,
Che tutto quanto il ben ch'offerto m'è,
È un'ombra senza corpo fuggitiva.

La spera.


 

Porto la cappa in casa, e fuor non già:
Di terra ho 'l capo, e le gambe di sasso,
Con le quai non vo passo,
E pure il nome mio par d'uom che va.

Il cammino.


 

Nata nella freddissima stagione,
Traligno dalla propria genitrice,
E dòmmi a tal nutrice
Qual è madre del ben delle persone.

Il diaccio.


 

Nel capo ho una gamba c'ha duo piedi,
Nella coda n'ho uno,
E non per questo muover mai mi vedi.

L'alare.

Sono un palazzo senza più entrate
Che una porta tonda:
Ho duo finestre, e quelle invetrïate;
E di sopra ho la gronda
Ora d'oro, or di bronzo, ora d'argento:
E 'n su le cantonate
Esposte ho duo bandiere a ogni vento.

Il corpo umano.

Due sorelle binate,
Ci riscontriamo spesso per la via:
Or ci baciamo, or diam delle ceffate,
Ma pur stiamo abbracciate tuttavia.

Le secchie del pozzo.

Senza denti divoro molta carne,
Non per nutrirmen'io,
Ma sol per ingrassarne
Colei che madre fu del cibo mio.

La sepoltura.

Non ho capo, e la bocca ho nella gola:
Di sotto mi nutrisco,
E per la stessa bocca lo smaltisco.

Il pozzo.

Di verde andai vestito,
E vescovo non era:
Abito poi mi messi rusticale,
Senza farmi romito:
Vestii poi il rosso, e non fui cardinale:
Poi presi veste nera,
Senza che mi morisse alcun parente:
Poi ripresi di nuovo il lucchesino;
E insomma finalmente,
Senz'esser frate, vesto di bertino.

I carboni ridotti in cenere.

Col capo ho 'l collo con due code attorte,
Ma 'l collo tengo sbarrato d'un legno;
E son le code di sì bello ingegno,
Che senza chiave aprir san molte porte.

La palla da aprir usci.


 

Son tutta corpo e rene:
Con cento bocche rodo:
Nulla di quel ch'io mangio non ritengo:
Per non cader, mangiando, pur m'attengo
A un pal di ferro sodo.

La grattugia

Ditemi un poco, qual è quella cosa
C'ha duo corpi, e con l'un l'altro nutrisce;
E che sempre sta ferma, e mai non posa,
E 'l nonnulla divide e scompartisce.

L'oriolo a polvere.

Di tutti i fatti e detti banditore,
Non però ch'io favelli,
Povero sono e son tutto strambelli,
E son marchiato com'un falsatore.

Il libro.

Non son lupo nè cane,
Ma mordo senza gnuna discrezione;
E ho due braccia come le persone,
Ma mi servo, è ben ver, dell'altrui mane.

Le tanaglie.

Di due madri son molti figliolini
Che l'un per uno si somiglian tutti,
C'hanno altrettanti fratei consobrini,
Simili e in simil modo, ma più brutti.

Le dita delle mani.

Non sono uccello, e becco ho smisurato:
Non son serpente, e porto il fuoco in bocca:
Il nome ho falso, e chi 'n punta mi tocca
Si pentirà dell'averlo cercato.

Le molle.

Giunte alla bocca ho l'ale:
Nasco d'un lupo, e non è animale:
Ho del divino, e son cosa terrena,
E son conforto d'ogni cor ch'è 'n pena.

Il boccale.

Ho quattro orecchi, e con essi non sento:
Son corpo il resto, e nol nutrisco mai,
Perchè una volta si ben mi saziai,
Ch'io non ho più timor morir di stento.

Il guanciale.

Con la berretta all'antica a tagliere
Non ho capo nè busto,
E mi diletto molto del sedere,
Perchè ho le gambe, e de' piedi son frusto.

Il dischetto

Vestìti in casa, e si può dir armati,
Molti fratelli ho fuor nudi veduti,
E di padre grandissimo creati,
Riuscir piccolissimi e sgrignuti.

I pinocchi.